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La parola “glutine” deriva dal latino gluten, che significa “colla” e sta ad indicare le proprietà addensanti e viscoelastiche di questa sostanza ricavata dalla farina di frumento, già note ai tempi dei Romani. Il glutine viene impiegato in numerosi preparati alimentari per le sue eccellenti proprietà elasticizzanti e addensanti.
Oltre che nella maggior parte dei prodotti da forno è presente molto spesso anche in: salumi e insaccati; prodotti preparati per zuppe e risotti; prodotti conservati e precotti; panna e yogurt cremosi; formaggi fusi e spalmabili; budini e dessert; patate surgelate; omogeneizzati; preparati per bevande e caffè solubile; caramelle e cioccolato.
Ciò fa capire quanto questo complesso proteico sia presente nella dieta occidentale moderna e quanto il consumo medio pro-capite di glutine sia aumentato negli ultimi 50 anni. Si stima che in Europa il consumo medio di solo glutine è di 20 grammi al giorno e per un italiano arriva fino a 50 g al giorno, quantitativo molto alto considerato che parliamo di un solo complesso proteico tra migliaia di sostanze ingerite quotidianamente.
Molti pensano che il glutine sia una proteina del frumento, in realtà col termine “glutine” si intende un complesso proteico presente in molti cereali e formato da due frazioni proteiche distinte: le prolammine e le glutenine.
Le prolammine sono proteine a basso peso molecolare idrofobiche che danno la viscosità all’impasto. Ogni cereale possiede tipologie diverse in base alla catena di amminoacidi presente: gliadina nel frumento; ordeina nell’orzo; avenina nell’avena e così via.
Le glutenine sono invece proteine ad alto peso molecolare, fibrose e simili all’elastina che danno elasticità all’impasto grazie alla loro capacità di creare delle “maglie” una volta a contatto con l’acqua che intrappolano l’amido.
La farina di frumento fornisce a livello tecnico un ottimo glutine per la preparazione di impasti proprio per la sua particolare composizione proteica, risulta quindi molto difficile ottenere senza l’impiego di farine contenenti glutine impasti soffici, elastici e in genere lievitati come croissant e panetton
Le farine contenenti glutine sono: frumento, farro, orzo, segale, spelta, grano khorasan, triticale e avena (basso contenuto).
Le farine che non contengono glutine sono: mais, riso, miglio, amaranto, grano saraceno, quinoa, tapioca, sorgo, castagne, sesamo, patate, tutti i legumi (es. soia, fagioli, fave, ceci, lenticchie, piselli), teff, canapa, carrube, cocco, chia, banana, mandorle.
Data la scarsa digeribilità di questa sostanza e le sue caratteristiche “collose” si capisce come possa scatenare dolori addominali e alterare il funzionamento dell’intestino anche per chi non è celiaco. Una volta entrato nello stomaco infatti il glutine richiede un notevole sforzo enzimatico per essere scomposto in singoli amminoacidi (data la sua composizione ricca in prolina e glutammina che richiedono la produzione di una grande quantità di pepsina nello stomaco ed enzimi pancreatici da riversare nell’intestino tenue) e porta alla formazione di frammenti proteici indigeriti detti peptidi oppioidi. Questi peptidi innescano nell’intestino una risposta immunitaria di tipo infiammatorio, è il tentativo dell’organismo di liberarsi da sostanze che non essendo assimilabili sono letteralmente tossiche. L’infiammazione transitoria di per sé non è cosa grave, diventa un problema quando la presenza dei peptidi oppioidi diventa frequente (quotidiana) e nei soggetti con digestione difficile, per i quali la formazione di questi peptidi è ingente.
Considerato lo stile di vita moderno vanno aggiunti fattori aggravanti che portano ad infiammazione intestinale:
la presenza di antibiotici in tutti i prodotti animali e di derivazione animale non biologici, che altera l’equilibrio della flora intestinale microbica protettiva; cibi raffinati e ricchi in condimenti, abuso di caffè e alcolici, utilizzo frequente di latticini che generano muco colloso nell’intestino;
pasti frettolosi spesso non equilibrati, mescolando cibi con conflittualità digestiva (proteine con carboidrati, frutta a fine pasto, scarso utilizzo di verdura cruda a inizio del pasto…); abuso di farmaci e fumo di sigaretta;
stress cronico.
L’infiammazione intestinale è un problema che in molti casi si cronicizza e può sfociare in una miriade di disturbi spesso difficili da risolvere quali difficoltà digestiva, gonfiore addominale, stanchezza cronica, stitichezza alternata a diarrea, dolore addominale, gastrite e reflusso gastrico, emorroidi, basse difese immunitarie, eruzioni cutanee e dermatiti, pruriti, mal di testa, sovrappeso, alterazioni ormonali, alterazioni metaboliche, insonnia
Il cosiddetto “mal di glutine” è una condizione che si sta diffondendo in modo esponenziale e data la variabilità dei sintomi e delle patologie associate risulta molto difficile fare una diagnosi precoce, tuttavia è fondamentale soprattutto nei bambini assicurarsi se è presente un’avversione al glutine, essendo più esposti a cibi che lo contengono (pasta, pane, pizza, patatine, gelati, torte, caramelle, eccetera…).
Tra le patologie associate si riscontrano: anemia, afte recidive, ritardo di crescita, diabete giovanile, osteoporosi, tiroiditi, artrite reumatoide, dermatite erpetiforme, sclerosi multipla, epilessia, depressione, deficit dell’apprendimento, asma e altre legate al grado di malassorbimento e infiammazione dell’intestino.
In Italia attualmente si stima che un individuo su 100/150 sia affetto da malattia celiaca tipica o silente, si dice che per ogni caso di celiachia diagnosticata ve ne siano altri 7 non diagnosticati correttamente. Interessante il dibattito accademico circa l’aumento esponenziale dei casi di celiachia e gluten-sensitivity negli ultimi anni, sicuramente incrementato anche dall’utilizzo di più sofisticate tecniche di analisi.
Il primo fattore in gioco è lo stile di vita alimentare sempre più ricco in farine raffinate, unito ai fattori aggravanti esposti sopra. Altre ipotesi sono state avanzate in merito all’utilizzo di frumento geneticamente modificato (nanizzato) a partire dagli anni Settanta per facilitare la raccolta massiva e renderla più produttiva, il cosiddetto grano Creso, che pare aver portato ad una modificazione della struttura della gliadina (la frazione proteica responsabile della reazione immunitaria nel celiaco) che determina un’alterazione del riconoscimento della sostanza da parte dell’intestino, della flora batterica intestinale e delle cellule del sistema immunitario aspecifico. Le modificazioni genetiche hanno altresì aumentato la percentuale di glutine nel chicco dal 5-6% al 9-11%, dose poi rincarata di un ulteriore 7-8% dall’addizione di glutine alle farine raffinate per facilitare la panificazione.
In ultima analisi è possibile affermare che l’umanità si è sempre cibata di glutine, ma di qualità diversa e soprattutto quantità diversa.
Un lavoro scientifico molto interessante è stato fatto nel 2013 dal dottor Anthony Samsel e dalla dottoressa Stephanie Seneff in cui vengono evidenziate notevoli correlazioni tra l’utilizzo del glifosato, un diserbante chimico utilizzato massivamente in 130 stati del mondo (Italia compresa) per il trattamento di cereali e legumi, e patologie quali celiachia, Parkinson, anemia, danno renale, danno epatico, tiroiditi, infertilità e cancro. Nel particolare la review evidenzia che l’utilizzo crescente del glifosato anche in colture come il mais e la soia (prive di glutine) può essere il fattore principale implicato nell’epidemia celiaca dei nostri anni, dapprima per la forte alterazione della flora microbica protettiva dell’intestino, poi per l’inibizione delle proteine del gruppo del citocromo P450 deputate alla detossificazione da tossine chimiche e all’utilizzo della vitamina D e A, infine per la chelazione (sequestro) di minerali fondamentali come ferro, cobalto, rame e molibdeno e di amminoacidi quali triptofano, metionina e tirosina. (1)
Per fare chiarezza occorre distinguere tra celiachia, allergia al frumento e sensibilità al glutine, anche se spesso la differenza tra le tre è molto sottile.
La vera e propria malattia celiaca, detta enteropatia da ipersensibilità al glutine, è una patologia autoimmune su base genetica dovuta alla mancata capacità di idrolizzare l’α-gliadina e caratterizzata da lesione della mucosa intestinale e atrofia progressiva dei villi intestinali, che porta il celiaco a forti dolori addominali, diarrea, dimagrimento, anemia, irritabilità, pancia gonfia e stanchezza cronica. La distruzione della mucosa dell’intestino è causata dal sistema immunitario che riconosce come tossiche le proteine indigerite producendo contro di loro anticorpi del tipo IgA e IgG, quindi la celiachia ha caratteristiche tipiche delle malattie autoimmunitarie. L’unica cura attualmente valida è l’eliminazione totale del glutine dalla dieta.
Esistono varie forme di celiachia, oltre quella tipica appena descritta vi sono forme “atipiche” caratterizzate da sintomi extraintestinali (asma, dermatite e psoriasi ad esempio) e forme “silenti” che apparentemente prive di sintomi portano l’organismo in uno stato di infiammazione cronica di basso grado che può alterare con gli anni il sistema ormonale e metabolico.
Per questi motivi risulta difficile la diagnosi in molti casi, attualmente per decretare in maniera univoca la patologia celiaca vengono effettuati test di ricerca nel siero sanguigno di anticorpi anti-gliadina, anti-endomisio e anti-transglutaminasi che indicano attività immunitaria verso il glutine anche nelle forme silenti, oltre alla biopsia intestinale che determina lo stato di atrofia dei villi intestinali.
Il termine venne coniato dal dottor Alessio Fasano e altri scienziati dell’University of Maryland (School of Medicine’s Center for Celiac Research), dell’Università di Napoli (Dipartimento di Medicina Sperimentale) e CNR di Avellino in uno studio in cui venne dimostrata l’esistenza di un’altra patologia legata all’ingestione di glutine che tuttavia non ha correlazione con la celiachia né con l’allergia al frumento. Molti indicano impropriamente questa malattia col termine “intolleranza al glutine”, la sua diffusione mediatica in questo senso è riconducibile alla diffusione nella popolazione: mediamente una persona su 10 ne soffre; il prof. Umberto Volta afferma che con buona approssimazione in Italia sono 500 mila i casi celiaci e 3 milioni i casi di gluten-sensitivity.
In questa patologia si riscontrano sintomi tipici della celiachia ma esito negativo dei test impiegati per diagnosticarla. Tra i sintomi gastrointestinali si notano meteorismo, dolori addominali, bruciore di stomaco, diarrea o stipsi; tra i sintomi generali sonnolenza, difficoltà di concentrazione, cefalea, dolori articolari, rash cutanei, insonnia, stanchezza cronica, anemia e depressione. La sintomatologia così varia viene spesso sottovalutata per lunghi periodi, causando spesso altre patologie tra cui quelle citate sopra.
La differenza a livello di risposta umorale è sostanzialmente l’attivazione del solo sistema immunitario aspecifico che produce infiammazione, mentre nella celiachia viene attivato anche quello specifico che produce anticorpi. La reazione immunitaria quindi è meno aggressiva e dose-dipendente (più glutine si assume, più forti sono i sintomi) e porta ad uno stato di infiammazione cronica dell’intestino, indebolimento del sistema immunitario, stress epatico e alterazione permanente della flora microbica intestinale.
Non esistono indicatori specifici utili a diagnosticare in maniera univoca la patologia (anche se pare vi sia una produzione di anticorpi della classe IgG alimento-specifici), in generale viene fatto un test clinico condotto in cieco mediante l’assunzione di glutine e di placebo in tempi diversi, compilando poi un test in cui si indica la variazione dei sintomi.
L’allergia la frumento rientra nella classe delle allergie “classiche”, distinte quindi per la produzione di anticorpi del tipo IgE e forte rilascio di istamina contro le sostanze contenute nel chicco che vengono riconosciute erroneamente dal sistema immunitario. La sintomatologia comprende orticaria, angioedema (gonfiore di pelle e tessuti), vomito, rinite, asma e all’estremo shock anafilattico. In questi casi la diagnosi viene fatta coi tipici test allergologici.
Oltre che nella maggior parte dei prodotti da forno è presente molto spesso anche in: salumi e insaccati; prodotti preparati per zuppe e risotti; prodotti conservati e precotti; panna e yogurt cremosi; formaggi fusi e spalmabili; budini e dessert; patate surgelate; omogeneizzati; preparati per bevande e caffè solubile; caramelle e cioccolato.
Ciò fa capire quanto questo complesso proteico sia presente nella dieta occidentale moderna e quanto il consumo medio pro-capite di glutine sia aumentato negli ultimi 50 anni. Si stima che in Europa il consumo medio di solo glutine è di 20 grammi al giorno e per un italiano arriva fino a 50 g al giorno, quantitativo molto alto considerato che parliamo di un solo complesso proteico tra migliaia di sostanze ingerite quotidianamente.
A cura di Valentina Caneva
Dottoressa in Scienze Farmaceutiche Applicate, Erborista.
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